Lo Ius soli, cioè l'acquisizione della cittadinanza di un dato Paese come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul suo territorio indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori, contrapposto allo Ius sanguinis, che indica invece la trasmissione alla prole della cittadinanza del genitore rischia di minare la nostra integrità culturale già abbastanza compromessa.
La legge è già stata approvata alla Camera nell'ottobre del 2015 ed è ferma a Palazzo Madama da oltre un anno.
Di chiara ispirazione alla società multietnica americana, mi domando quanto una società forzatamente multietnica possa giovare alla nostra economia, alla nostra società e soprattutto alla nostra cultura.
Qui non si parla di razzismo, xenofobia e paura del mondo, si parla di salvaguardia della cultura, di protezione della stessa dal mostro statistico con a capo l'economia, perché il punto principale per cui questa legge può essere approvata è per il capovolgimento della piramide demografica, fortemente anziana, che ci esclude quasi totalmente il diritto ad una pensione.
Il problema dello Ius soli, quindi, può potenzialmente "parare" un danno, stravolgendo drasticamente la nostra cultura, perché tutti, giustamente, hanno diritto a professare la propria religione, a seguire le proprie tradizioni e gli usi, e a fare propaganda delle stesse. Un mix etnico che annullerebbe ogni identità nazionale e l'America ne è il chiaro esempio.
Una popolazione costretta a convivere è costretta alla ribellione, allo scontro culturale e ideologico.
Certo, non per questo bisogna fare di tutta l'erba un fascio e non è vero che tutti i musulmani sono fondamentalisti con la pretesa di divulgare la propria confessione religiosa, ma parliamo di gente che potrebbe acquistare la cittadinanza italiana anche senza conoscere la lingua, gli usi e le tradizioni del Paese. Non tanto ragionando per assurdo, acquisterebbe cittadinanza anche il bambino nato il giorno dopo lo sbarco dei genitori, che non hanno la ben che minima base culturale che ci appartiene.
"Quando tutto il mondo fu cittadino Romano, Roma non ebbe più cittadini; e quando cittadino Romano fu lo stesso che Cosmopolita, non si amò né Roma né il mondo: l’amor patrio di Roma divenuto cosmopolita, divenne indifferente, inattivo e nullo: e quando Roma fu lo stesso che il mondo, non fu più patria di nessuno, e i cittadini Romani, avendo per patria il mondo, non ebbero nessuna patria, e lo mostrarono col fatto".
-Giacomo Leopardi, Zibaldone
Quindi, la vera domanda è "Dove vogliamo arrivare per inseguire il mito del denaro?".
Parliamo di immigrazione come "risorsa lavorativa" e "risorsa culturale" e non do torto a questo, ma penso che tutto debba essere permesso nella misura in cui questo non diventi lesivo nei confronti della cultura nostrana, forte di una storia millenaria.
La migrazione, in sé, non è una cosa negativa, è una risorsa fondamentale per la cultura, purché sia esercitata nei limiti.
Concludo con una citazione di B.Constant in Princìpi di politica del 1806:
"Nessun popolo ha considerato come membri dello Stato tutti gli individui che risiedano[...] sul proprio territorio. Non si tratta qui delle distinzioni che, presso gli antichi, separavano gli schiavi dagli uomini liberi, e che, presso i moderni, separavano i nobili dai plebei. [...]Non voglio fare alcun torto alla classe laboriosa. Questa classe ha un patriottismo non minore delle altre classi. Spesso è pronta ai sacrifici più eroici, e la sua dedizione è tanto più ammirevole in quanto non è ricompensata né dalla fortuna né dalla gloria. Ma altro è, io credo, il patriottismo che dà il coraggio di morire per il proprio paese, e altro quello che rende capaci di conoscer bene i propri interessi. Occorre dunque un’altra condizione, oltre alla nascita e all’età prescritta dalla legge. Questa condizione è il tempo indispensabile all’acquisizione della cultura e di un retto giudizio".
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Articolo del 11 Maggio 2017 a cura di G.Lamura
Etichette: Società e Politica